“Questa minestra che onora Bologna
detta ‘la grassa’ non inutilmente,
carezza l’uomo dove gli bisogna,
dà molta forza ai muscoli e alla mente
fa prender tutto con filosofia
piace, nutre, consola e così via.”

Con queste parole Ondino Guerrini, poeta del secondo ottocento, utilizzando lo pseudonimo di “Lorenzo Stecchetti” decantava le tagliatelle e la cucina bolognese, tradizione gastronomica appartenente a quel crogiuolo culinario secolare conosciuto ormai in tutto il mondo come cucina emiliana. Come nella maggior parte delle regioni italiane, più che una cucina, è una costellazione di cucine che, soprattutto in Emilia rappresenta il risultato di otto secoli di storia e tradizione.
La cucina emiliana, saporita e generosamente condita è sinonimo di abbondanza e succulenza. Numerosi suoi piatti e prodotti tipici sono riconosciuti ufficialmente sia a livello nazionale che internazionale e certificati dall’Unione Europea con i marchi DOP (Denominazione di origine protetta) e IGP (Indicazione geografica protetta).

La cucina emiliana, come nella maggior parte delle regioni italiane, più che una cucina, è una costellazione di cucine che, in Emilia, rappresenta il risultato di quasi otto secoli di autonomia delle città emiliane, dall’età dei Comuni all’Unità d’Italia, e del ruolo di vere e proprie capitali esercitato a lungo dai centri maggiori.

Olindo Guerrini (1845/1916), poeta del secondo 800, bibliofilo e studioso di letteratura. Fra i suoi saggi “La tavola e la cucina nei secoli XIV e XV”, che rappresenta la prima rigorosa indagine sulla cucina italiana del medioevo e “L’arte di utilizzare gli avanza della mensa”, scritta sotto lo pseudonimo di “Lorenzo Stecchetti” e comparsa postuma nel 1918. Da quest’ultimo la citazione sulle Tagliatelle.

 

I tortellini

Il nome di tortellino (in bolognese turteléin, in modenese turtlèin) deriva dal diminutivo di tortello, dall’italiano torta. L’odierno tortellino è verosimilmente l’erede relativamente recente di una lunga progenie nata in un ambiente povero per “riciclare” la carne avanzata dalla tavola dei nobili ricchi. TortelliniNel libro “L’economia del cittadino in villa” di Vincenzo Tanara del 1664 si descrivono dei tortellini “cotti nel burro”. Ancora nel 1842 il viaggiatore e bibliografo francese Antoine-Claude Pasquin (detto Valery, 1789-1847) annotava un ripieno di «sego di bue macinato, tuorli d’uovo e parmigiano», ben più rozzo dell’attuale. Sull’origine di questo piatto esistono diverse leggende. Una tra queste fa nascere questo piatto a Castelfranco Emilia ad opera del proprietario della locanda Corona, il quale, sbirciando dal buco della serratura della stanza di una nobildonna sua ospite e rimasto tanto colpito dalla bellezza del suo ombelico, volle riprodurlo in una preparazione culinaria.

 

Il Parmigiano Reggiano DOP

Le origini di questo formaggio risalgono al Medioevo e vengono generalmente collocate attorno al XII secolo. Boccaccio nel Decamerone dimostra che già nel 1200-1300 il Parmigiano-Reggiano aveva raggiunto la tipizzazione odierna, il che spinge a supporre che le sue origini risalgano a diversi secoli prima. Parmigiano Reggiano DOPStoricamente la culla del parmigiano Reggiano fu nel XII secolo, accanto ai grandi monasteri e possenti castelli in cui comparvero i primi caselli. Grandi prati, abbondanza d’acqua e vasti pascoli permisero la produzione di un formaggio a pasta dura ottenuto attraverso la lavorazione del latte che, oggi, con gli stessi ingredienti di nove secoli fa, negli stessi luoghi e con gli stessi gesti rituali i maestri casari continuano a produrre in modo artigianale e con la stessa passione che ha permesso a questo formaggio di diventare un prodotto d’eccellenza conosciuto in tutto il mondo.

 

Lo zampone Modena IGP

Lo Zampone Modena è un salume prodotto con un impasto di carni suine, avvolto in un involucro formato dalla zampa di un maiale. Ha una consistenza soda ed uniforme ed un colore rosa brillante tendente al rosso. Zampone Modena IGPLa tradizione colloca il primo zampone agli inizi del XVI secolo a Mirandola, durante l’assedio di Papa Giulio II del 1511, e oggi, a più di cinque secoli di distanza lo zampone continua a essere prodotto in diverse zone del nord Italia. Dal 1991 il paese di Castelnuovo Rangone in provincia di Modena detiene il record del mondo, iscritto nel Guinness dei primati, dello zampone più grande del mondo: nel 2000 ha raggiunto un peso di 450 kg, nel 2006 di 751 kg. Al 2008 risale l’ultimo primato con uno zampone del peso di 942 kg.

 

La mortadella di Bologna IGP

La mortadella è nata probabilmente nel I secolo e la sua produzione si è sviluppata in un’area compresa tra Emilia-Romagna e Lazio; tuttavia, per un periodo di tempo, questo salume entrò nell’oblio, ma ricomparve nel tardo Medioevo, dove veniva prodotto esclusivamente nella città di Bologna. Mortadella di Bologna IGPLe sue origini sono da ricercare nei territorio dell’antica Felsina etrusca e della Bononia dei Galli Boi, che vivevano in ambienti ricchi di boschi di querce che fornivano le ghiande, principale alimento dei maiali di allora, allevati allo stato brado o addomesticati. Nel museo archeologico di Bologna è conservata la prima testimonianza della presenza di un produttore di mortadella: una stele di epoca romana imperiale raffigura sette maialetti condotti al pascolo e un mortaio con pestelle e tracce della sua esistenza si ritrovano persino nei libri di cucina del Trecento.
La mortadella Bologna IGP, di puro suino, è un insaccato cotto, dalla forma cilindrica od ovale, di colore rosa e dal profumo intenso, leggermente speziato. Per la sua preparazione vengono impiegati solo tagli pregiati (carne e lardelli di elevata qualità), triturati adeguatamente allo scopo di ottenere una pasta fine. Il sapore è pieno e ben equilibrato. Una volta tagliata, la superficie si presenta vellutata e di colore rosa vivo uniforme. La mortadella Bologna emana un profumo particolare e aromatico e il suo gusto è tipico e delicato.

 

L ’aceto balsamico tradizionale di Modena

L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è un condimento tradizionale della cucina di Modena, prodotto con mosti cotti d’uve provenienti esclusivamente dalla provincia di Modena, fermentati, acetificati ed in seguito invecchiati per svariati anni. Pur affondando le proprie radici, probabilmente, già in età romana, la sua produzione è documentata già a partire dal 1046. Aceto balsamico tradizionale di ModenaProdotto raffinato, destinato solo alle tavole delle famiglie più abbienti, grazie ai Duchi di Modena venne fatto conoscere a membri illustri dell’aristocrazia europea, tanto che nel 1764, di passaggio a Modena nel corso di una missione diplomatica, il conte Voronzov, Cancelliere imperiale di Moscovia, chiese di inviare alcune bottigliette alla zarina Caterina la grande. Vent’anni dopo, nel 1792 il Duca Ercole III ne inviò un flacone a Francoforte come dono per l’incoronazione di Francesco II d’Austria ad imperatore del Sacro Romano Impero, segno questo della grande considerazione che già da allora circondava questo prodotto della tradizione modenese.

 

Il culatello di Zibello DOP

Il Culatello di Zibello è un salume a Denominazione di origine protetta tipico della provincia di Parma. È inoltre catalogato tra i Presidii di Slow Food della regione Emilia-Romagna. Il Culatello, citato con certezza per la prima volta in un documento del 1735, è prodotto a partire dalla coscia di maiale. Culatello di Zibello DOPIl Consorzio del Culatello di Zibello ha stabilito che la lavorazione può avvenire solo in una determinata e circoscritta zona ed esclusivamente nel periodo tra ottobre e febbraio, quando la Bassa è avvolta dalla nebbia e dal freddo. È in quel periodo che la parte di carne ricavata dalla coscia dei suini adulti, allevati secondo metodi tradizionali, viene decotennata, sgrassata, disossata, separata dal fiocchetto e rifilata a mano, così da conferirle la caratteristica forma “a pera”. A queste operazioni seguiranno poi, dopo circa una decina di giorni, la salatura e la cosiddetta investitura, cioè l’insaccamento del salume nella vescica del suino e la legatura con lo spago che, dopo la stagionatura, dovrà risultare a maglie larghe ed irregolari. La stagionatura in cantina accompagna il Culatello dalle nebbie invernali all’afa estiva, per arrivare sulle nostre tavole l’inverno successivo nel pieno delle sue più originali qualità di sapore.

 

Il prosciutto di Parma DOP

Il Prosciutto di Parma è il prodotto tipico delle Terre matildiche che si estendono tra la via Emilia e il letto del fiume Enza. È celebre in tutto il mondo e si contraddistingue oltre per le peculiarità nutrizionali anche per la “corona”, il marchio che viene impresso a fuoco solo sull’originale. Prosciutto di Parma DOPLa tradizione plurisecolare degli insaccati risulta ordinata, come attività a sé stante, solo alla fine del Medioevo, dall’Arte dei Lardaroli, originatasi per specializzazione dalla più forte Arte dei Beccai. Ma la fama del Prosciutto di Parma, esclusiva specialità dei lardaroli Parmensi, affonda le sue radici in tempi ancor più lontani, all’epoca romana. Parma, allora situata nel cuore di quella che era la Gallia Cisalpina, era rinomata, come ricorda Varrone nel De Re Rustica, per l’attività dei suoi abitanti che allevavano grandi mandrie di porci ed erano particolarmente abili nel produrre prosciutti salati. Lo stesso Catone delinea già nel II secolo a.C., nel suo De Agricoltura la tecnologia di produzione, sostanzialmente identica all’attuale. Risalendo il corso dei secoli, del prosciutto e della tecnica di preparazione parlarono Polibio, Strabone, Orazio, Plauto e Giovenale. John B. Dancer scrive che quando Annibale nel 217 a.C. entrò in Parma e fu accolto come liberatore, gli abitanti per festeggiare gli offrirono delle cosce di maiale conservate sotto sale dentro dei barili di legno che lui apprezzò moltissimo. Per proteggere la qualità di questo crudo, gli stessi produttori nel 1963 hanno costituito il Consorzio del prosciutto di Parma, che, d’allora, vigila sulla lavorazione e sulla scelta della materia prima. Inoltre, la Comunità Europea ha conferito nel 1996 al prosciutto italiano più famoso il riconoscimento Denominazione di origine protetta (DOP).

 

Il lambrusco

Il Lambrusco nella versione secca, leggero e frizzante, si sposa bene con i piatti grassi e saporiti tipici della cucina emiliana, rappresentandone la giusta contrapposizione; ; è ottimo da gustare con i formaggi tipici della zona: il grana e il parmigiano-reggiano. Nella versione amabile invece è un vino da dessert o da conversazione. LambruscoLe testimonianze relative all’esistenza del Lambrusco ruotano attorno all’origine stessa del nome. Il significato di pianta spontanea, selvatica, può essere ricondotto in seguito al rinvenimento di semi di vite selvatica silvestre proprio nelle zone di produzione attuale del Lambrusco. Testimonianze dirette ci giungono dai latini e precisamente da Virgilio, nativo del mantovano, altra preziosa zona di produzione attuale, il quale parla dell’esistenza della vitis labrusca duemila anni fa, nella sua quinta bucolica. Diversi sono i cenni che nella storia accompagnano questa deliziosa bevanda, tra tutti Andrea Bacci che nel 1567 parla delle uve rosse che danno vini speziati sulle colline modenesi chiamandole lambrusche e delle spumeggianti auree bollicine che appaiono qualora si versi nei bicchieri. Oggi viene utilizzato anche in cucina nella preparazione di piatti, specialmente tipici emiliani, come lo zampone e il cotechino, o primi piatti come il risotto al Lambrusco e la pasta al Lambrusco. Questo tipo di vino viene inoltre utilizzato nella preparazione di cocktail, miscelato ad altri alcolici e frutta per essere servito come aperitivo. È inoltre anche utilizzato nella vinoterapia per le sue proprietà di conservazione della pelle.